domenica 20 dicembre 2009
STRESS “LAVORO- CORRELATO”: vera tutela per il lavoratore o fine del mobbing?
13:35 |
Pubblicato da
Retelegale Torino |
Modifica post
L'art, 28 comma 1 del D.Lgs. n° 81/08 ( Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) stabilisce che “ La valutazione di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonche' nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell'accordo europeo dell'8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonche' quelli connessi alle differenze di genere, all'età, alla provenienza da altri Paesi”.
La norma contiene un richiamo esplicito (in gergo dicesi “rinvio recettizio”) ad una fonte esterna, individuata in un accordo europeo dell'8.10.04, che si occupa di un particolare tipo di rischio lavorativo, definito – ovviamente con terminologia mutuata dalla medicina - “stress lavoro- correlato”.
Questo rinvio introduce quindi nell'ordinamento italiano una fonte – di formazione negoziale in quanto trattasi appunto di accordo “europeo” ossia intervenuto fra soggetti di rilevanza comunitaria, poi vedremo chi e come – con la funzione di specificare un rischio lavorativo ritenuto evidentemente meritevole di particolare attenzione: il legislatore ha infatti collocato i rischi da stress “lavoro- correlato” fra i rischi definiti espressamente “particolari”.
Anche in cosa consista la particolarità del rischio da stress “lavoro- correlato” emergerà da questa breve trattazione.
L'accordo in parola è stato recepito in Italia – secondo quanto stabilito dall'accordo europeo stesso che quindi, usando un famoso brocardo “se la canta e se la suona” - con accordo interconfederale 9.6.08 fra le organizzazioni dei datori di lavoro e i tre sindacati concertativi. In esso è riportata la traduzione autentica e giuridicamente valida dell'accordo europeo.
La sola lettura piana del testo è di per sé fonte di divertimento, se non si trattasse di argomento serissimo. L'art. 1 infatti esordisce affermando che “lo stress lavoro- correlato è stato individuato a livello internazionale, europeo e nazionale come oggetto di preoccupazione sia per i datori di lavoro che per i lavoratori”. E' vero, non è uno scherzo.
Tale “preoccupazione” (e quando a livello europeo sorgono preoccupazioni è lecito preoccuparsi) ha indotto le parti sociali (sempre loro) ad introdurre la questione nel programma di Dialogo Sociale 2003- 2005 (si tenga conto che l'accordo europeo era del 2004, mentre il recepimento in Italia è del 2008, quindi nel frattempo la discussione fra le parti sociali dovrebbe essersi esaurita, ma evidentemente alle nostre parti sociali è sfuggito).
Il Dialogo Sociale, come ormai chi si occupa di lavoro dovrebbe sapere, è l'evoluzione in peggio della concertazione: si discute dei problemi del lavoro e poi si risolvono cercando di far meno danno possibile ai profitti delle imprese.
In questo ambito, come vedremo, i dialoghi sullo stress “lavoro- correlato”, potrebbero riservare interessanti sorprese.
Rimandando l'analisi dettagliata dell'accordo ad altra sede, merita richiamare alcuni passaggi significativi.
All'art.2 (finalità) comma 2, si afferma che obiettivo dell'accordo non è quello di attribuire la responsabilità dello stress all'individuo ma di offrire a datori di lavoro e lavoratori un quadro di riferimento per individuare e prevenire o gestire problemi di stress lavoro- correlato.
Al comma 3, ancora più chiaramente, si dice che “le parti sociali europee, riconoscendo che le molestie e la violenza sul posto di lavoro sono potenziali fattori di stress lavoro- correlato, verificheranno nel programma di lavoro del Dialogo Sociale 2003- 2005, la possibilità di negoziare uno specifico accordo su tali temi. Pertanto il presente accordo non concerne la violenza, le molestie e lo stress post- traumatico”.
La traduzione della norma citata è evidente: ne parleremo ma non risolveremo il problema, ma soprattutto che nessuno si azzardi a coinvolgere la problematica dello stress lavoro- correlato con il dramma delle condizioni di lavoro degradanti, con lo sfruttamento e la demoralizzazione dei lavoratori, con gli abusi e con tutto ciò che è contra legem. L'accordo non ne parla né ne vuole parlare.
Ma allora, di cosa stiamo parlando? L'impressione è che le parti sociali europee (più precisamente CES, ossia i sindacati europei, UNICE, la confindustria, UEAPME, artigiani, e CEEP, partecipate) abbiano steso un cordone sanitario attorno ai luoghi di lavoro in maniera da impedire il proliferare delle vertenze per stress lavorativo e circoscriverle a quei casi – appunto la violenza, le molestie e i traumi – ove vi è una correlazione diretta fra stress ed evento vietato. Prima vittima di questo modo di ragionare è la personalità morale del lavoratore – tutelata dalla Costituzione e dall'art. 2087 c.c. - che è pregiudicata non solo dai casi di violazione di norme penali (come appunto in presenza di violenza, molestia o trauma) ma anche - e forse soprattutto - dal sistema stesso di produzione (prima fordista e ora...post fordista) che aliena l'individuo e lo espone al rischio dello stress e con esso a gravi conseguenze sociali quali le diverse forme di dipendenza (droga, alcool, gioco) spingendolo verso condizioni sempre più border- line fino all'autoannullamento o al suicidio (più raramente alla presa di coscienza e alla reazione, magari militante).
L'art. 3 – che è un condensato di psicologia produttivistica - definisce lo stress lavoro- correlato come l'inadeguatezza di taluni a rispondere alle richieste e alle aspettative riposte in loro. Evidenzia come l'individuo sia in grado di sostenere una esposizione di breve durata alla tensione, ma che non tutti reagiscono alla stessa maniera (Lapalisse, tanto per cambiare). Sottolinea come lo stress generato fuori dall'ambiente di lavoro posso influire sull'efficienza del lavoratore (ma il contrario, ossia che lo stress lavorativo influenzi sicuramente le condizioni di vita fuori dall'ambiente di lavoro nemmeno viene considerato). Infine individua nel contenuto del lavoro, nella sua gestione, nell'ambiente e nella comunicazione possibili fonti di stress.
L'art. 4 segnala alcuni campanelli d'allarme che, lungi dal costituire condizioni patologiche dell'ambiente di lavoro sarebbero invece sintomo di stress...dei lavoratori: assenteismo, notevole rotazione (!), conflitti interpersonali, lamentele. Dunque chi non accetta le condizioni è stressato, chi non si adegua è stressato. Avendo così individuato la fonte occorrerà intervenire per prevenire, eliminare o ridurre il problema. Quindi, via i disturbatori.
In sintesi l'approccio al problema del disagio lavorativo (o più correttamente dell'alienazione) è totalmente produttivistico e psicologico, con una marcata individualizzazione della procedura sia di monitoraggio del problema che di intervento successivo, che si configura come una vera e propria cura nei confronti del lavoratore malato di stress.
In conclusione il datore di lavoro che farà un buon piano anti-stress sarà al riparo da qualunque vertenza, avendo in precedenza detto...che c'era quel rischio e ciò col beneplacito dei sindacati concertativi (e probabilmente sotto l'egida degli Enti Paritetici veri cavalli di troia del neocorporativismo).
Il passo verso la certificazione anticipata della sicurezza del luogo di lavoro è breve!
L'inserimento di quest'accordo europeo – sottoscritto fra organismi privi di qualunque legittimazione democratica quali sono appunto le organizzazioni transnazionali dei lavoratori e dei datori di lavoro – introduce nel nostro ordinamento un ulteriore strumento di sopraffazione della coscienza di classe dei lavoratori, mentre i datori di lavoro la loro coscienza di classe la mantengono ben salda e altrettanto efficacemente portano avanti la lotta di classe.
Con invidiabili risultati anche in tempo di crisi. Almeno in Italia.
Alessio Ariotto, Retelegale Torino
La norma contiene un richiamo esplicito (in gergo dicesi “rinvio recettizio”) ad una fonte esterna, individuata in un accordo europeo dell'8.10.04, che si occupa di un particolare tipo di rischio lavorativo, definito – ovviamente con terminologia mutuata dalla medicina - “stress lavoro- correlato”.
Questo rinvio introduce quindi nell'ordinamento italiano una fonte – di formazione negoziale in quanto trattasi appunto di accordo “europeo” ossia intervenuto fra soggetti di rilevanza comunitaria, poi vedremo chi e come – con la funzione di specificare un rischio lavorativo ritenuto evidentemente meritevole di particolare attenzione: il legislatore ha infatti collocato i rischi da stress “lavoro- correlato” fra i rischi definiti espressamente “particolari”.
Anche in cosa consista la particolarità del rischio da stress “lavoro- correlato” emergerà da questa breve trattazione.
L'accordo in parola è stato recepito in Italia – secondo quanto stabilito dall'accordo europeo stesso che quindi, usando un famoso brocardo “se la canta e se la suona” - con accordo interconfederale 9.6.08 fra le organizzazioni dei datori di lavoro e i tre sindacati concertativi. In esso è riportata la traduzione autentica e giuridicamente valida dell'accordo europeo.
La sola lettura piana del testo è di per sé fonte di divertimento, se non si trattasse di argomento serissimo. L'art. 1 infatti esordisce affermando che “lo stress lavoro- correlato è stato individuato a livello internazionale, europeo e nazionale come oggetto di preoccupazione sia per i datori di lavoro che per i lavoratori”. E' vero, non è uno scherzo.
Tale “preoccupazione” (e quando a livello europeo sorgono preoccupazioni è lecito preoccuparsi) ha indotto le parti sociali (sempre loro) ad introdurre la questione nel programma di Dialogo Sociale 2003- 2005 (si tenga conto che l'accordo europeo era del 2004, mentre il recepimento in Italia è del 2008, quindi nel frattempo la discussione fra le parti sociali dovrebbe essersi esaurita, ma evidentemente alle nostre parti sociali è sfuggito).
Il Dialogo Sociale, come ormai chi si occupa di lavoro dovrebbe sapere, è l'evoluzione in peggio della concertazione: si discute dei problemi del lavoro e poi si risolvono cercando di far meno danno possibile ai profitti delle imprese.
In questo ambito, come vedremo, i dialoghi sullo stress “lavoro- correlato”, potrebbero riservare interessanti sorprese.
Rimandando l'analisi dettagliata dell'accordo ad altra sede, merita richiamare alcuni passaggi significativi.
All'art.2 (finalità) comma 2, si afferma che obiettivo dell'accordo non è quello di attribuire la responsabilità dello stress all'individuo ma di offrire a datori di lavoro e lavoratori un quadro di riferimento per individuare e prevenire o gestire problemi di stress lavoro- correlato.
Al comma 3, ancora più chiaramente, si dice che “le parti sociali europee, riconoscendo che le molestie e la violenza sul posto di lavoro sono potenziali fattori di stress lavoro- correlato, verificheranno nel programma di lavoro del Dialogo Sociale 2003- 2005, la possibilità di negoziare uno specifico accordo su tali temi. Pertanto il presente accordo non concerne la violenza, le molestie e lo stress post- traumatico”.
La traduzione della norma citata è evidente: ne parleremo ma non risolveremo il problema, ma soprattutto che nessuno si azzardi a coinvolgere la problematica dello stress lavoro- correlato con il dramma delle condizioni di lavoro degradanti, con lo sfruttamento e la demoralizzazione dei lavoratori, con gli abusi e con tutto ciò che è contra legem. L'accordo non ne parla né ne vuole parlare.
Ma allora, di cosa stiamo parlando? L'impressione è che le parti sociali europee (più precisamente CES, ossia i sindacati europei, UNICE, la confindustria, UEAPME, artigiani, e CEEP, partecipate) abbiano steso un cordone sanitario attorno ai luoghi di lavoro in maniera da impedire il proliferare delle vertenze per stress lavorativo e circoscriverle a quei casi – appunto la violenza, le molestie e i traumi – ove vi è una correlazione diretta fra stress ed evento vietato. Prima vittima di questo modo di ragionare è la personalità morale del lavoratore – tutelata dalla Costituzione e dall'art. 2087 c.c. - che è pregiudicata non solo dai casi di violazione di norme penali (come appunto in presenza di violenza, molestia o trauma) ma anche - e forse soprattutto - dal sistema stesso di produzione (prima fordista e ora...post fordista) che aliena l'individuo e lo espone al rischio dello stress e con esso a gravi conseguenze sociali quali le diverse forme di dipendenza (droga, alcool, gioco) spingendolo verso condizioni sempre più border- line fino all'autoannullamento o al suicidio (più raramente alla presa di coscienza e alla reazione, magari militante).
L'art. 3 – che è un condensato di psicologia produttivistica - definisce lo stress lavoro- correlato come l'inadeguatezza di taluni a rispondere alle richieste e alle aspettative riposte in loro. Evidenzia come l'individuo sia in grado di sostenere una esposizione di breve durata alla tensione, ma che non tutti reagiscono alla stessa maniera (Lapalisse, tanto per cambiare). Sottolinea come lo stress generato fuori dall'ambiente di lavoro posso influire sull'efficienza del lavoratore (ma il contrario, ossia che lo stress lavorativo influenzi sicuramente le condizioni di vita fuori dall'ambiente di lavoro nemmeno viene considerato). Infine individua nel contenuto del lavoro, nella sua gestione, nell'ambiente e nella comunicazione possibili fonti di stress.
L'art. 4 segnala alcuni campanelli d'allarme che, lungi dal costituire condizioni patologiche dell'ambiente di lavoro sarebbero invece sintomo di stress...dei lavoratori: assenteismo, notevole rotazione (!), conflitti interpersonali, lamentele. Dunque chi non accetta le condizioni è stressato, chi non si adegua è stressato. Avendo così individuato la fonte occorrerà intervenire per prevenire, eliminare o ridurre il problema. Quindi, via i disturbatori.
In sintesi l'approccio al problema del disagio lavorativo (o più correttamente dell'alienazione) è totalmente produttivistico e psicologico, con una marcata individualizzazione della procedura sia di monitoraggio del problema che di intervento successivo, che si configura come una vera e propria cura nei confronti del lavoratore malato di stress.
In conclusione il datore di lavoro che farà un buon piano anti-stress sarà al riparo da qualunque vertenza, avendo in precedenza detto...che c'era quel rischio e ciò col beneplacito dei sindacati concertativi (e probabilmente sotto l'egida degli Enti Paritetici veri cavalli di troia del neocorporativismo).
Il passo verso la certificazione anticipata della sicurezza del luogo di lavoro è breve!
L'inserimento di quest'accordo europeo – sottoscritto fra organismi privi di qualunque legittimazione democratica quali sono appunto le organizzazioni transnazionali dei lavoratori e dei datori di lavoro – introduce nel nostro ordinamento un ulteriore strumento di sopraffazione della coscienza di classe dei lavoratori, mentre i datori di lavoro la loro coscienza di classe la mantengono ben salda e altrettanto efficacemente portano avanti la lotta di classe.
Con invidiabili risultati anche in tempo di crisi. Almeno in Italia.
Alessio Ariotto, Retelegale Torino
Etichette:
lavoro
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
0 commenti:
Posta un commento