martedì 30 novembre 2010
Se lo Stato vuol fare il “privato datore di lavoro” dovrebbe anche poterselo permettere. Per precarizzare ed irregimentare ancora di più i pubblici dipendenti, passando da una fase di “privatizzazione consensuale contrattata” ad una di “privatizzazione verticistica manageriale”, occorre sia far piazza pulita dei contratti vigenti ma anche sostituirli con altri (prima di arrivare ad eliminarli del tutto, ma con calma...). Però questo passaggio è molto delicato perchè espone il datore di lavoro pubblico (come ogni datore di lavoro privato sa bene) a rivendicazioni di varia natura.
Vediamo la situazione venutasi a creare a seguito della riforma del pubblico impiego al tempo della crisi.
Il d.lgs. n. 150/ 2009, meglio noto come decreto “Brunetta”, ha innovato profondamente il sistema delle fonti del diritto nel pubblico impiego operando un'inversione a 360° rispetto all'impostazione originaria che vedeva nel sistema della contrattazione un pilastro essenziale del processo di privatizzazione.
In particolare, proprio a proposito della contrattazione collettiva e delle materie ad essa demandate, di cui si occupa il capo IV agli artt. 53 ss., si stabilisce l'espulsione dall'ambito pattizio delle seguenti:
l'organizzazione degli uffici;
quelle oggetto di partecipazione sindacale ai sensi dell'art. 9 T.U.P.I. (informazione su organizzazione e gestione);
quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17 T.U.P.I. (l'esercizio dei poteri del privato datore di lavoro);
la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali;
quelle di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (controversie di lavoro).
Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio (la c.d. performance), della mobilità e delle progressioni economiche, la contrattazione collettiva e' consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge.
L'art. 40 comma 3 quinquies del T.U.P.I. (introdotto dal decreto Brunetta) dispone poi che “Le pubbliche amministrazioni non possono in ogni caso sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con i vincoli e con i limiti risultanti dai contratti collettivi nazionali o che disciplinano materie non espressamente delegate a tale livello negoziale ovvero che comportano oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Nei casi di violazione dei vincoli e dei limiti di competenza imposti dalla contrattazione nazionale o dalle norme di legge, le clausole sono nulle, non possono essere applicate e sono sostituite ai sensi degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile. In caso di accertato superamento di vincoli finanziari da parte delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, del Dipartimento della funzione pubblica o del Ministero dell'economia e delle finanze e' fatto altresì obbligo di recupero nell'ambito della sessione negoziale successiva. Le disposizioni del presente comma trovano applicazione a decorrere dai contratti sottoscritti successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”.
Il decreto Brunetta contiene poi una norma di chiusura e adeguamento, l' art. 65, il quale stabilisce che “ 1. Entro il 31 dicembre 2010, le parti adeguano i contratti collettivi integrativi vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto alle disposizioni riguardanti la definizione degli ambiti riservati, rispettivamente, alla contrattazione collettiva e alla legge, nonche' a quanto previsto dalle disposizioni del Titolo III del presente decreto.
2. In caso di mancato adeguamento ai sensi del comma 1, i contratti collettivi integrativi vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto cessano la loro efficacia dal 1° gennaio 2011 e non sono ulteriormente applicabili”.
Stando così le cose da taluni si è sostenuto che i dirigenti degli uffici sarebbero già da subito autorizzati (anzi, obbligati) a procedere in via unilaterale (senza contrattazione) alla riorganizzazione e alla gestione del lavoro dando piena applicazione ai nuovi principi stabiliti dalla riforma e sintetizzati all'art.1, comma 2 così:”Le disposizioni del presente decreto assicurano una migliore organizzazione del lavoro, il rispetto degli ambiti riservati rispettivamente alla legge e alla contrattazione collettiva, elevati standard qualitativi ed economici delle funzioni e dei servizi, l'incentivazione della qualità della prestazione lavorativa, la selettività e la concorsualità nelle progressioni di carriera, il riconoscimento di meriti e demeriti, la selettività e la valorizzazione delle capacità e dei risultati ai fini degli incarichi dirigenziali, il rafforzamento dell'autonomia, dei poteri e della responsabilità della dirigenza, l'incremento dell'efficienza del lavoro pubblico ed il contrasto alla scarsa produttività e all'assenteismo, nonche' la trasparenza dell'operato delle amministrazioni pubbliche anche a garanzia della legalità”.
Per quanto riguarda lo specifico ambito della scuola occorre richiamare anche l'art. 74 che al comma 5 demanda ad un successivo D.P.C.M. la determinazione dei limiti e delle modalità di applicazione delle disposizioni di cui ai titoli II e III per il personale docente della scuola.
Il MIUR ha poi a sua volta sollevato il problema dell'applicazione pratica all'organizzazione e al personale scolastico delle norme del decreto Brunetta, formulando apposito quesito al dipartimento della Funzione Pubblica e stabilendo che le procedure di utilizzo del personale si svolgano nell'ambito del quadro normativo e contrattuale vigente alfine di assicurare il corretto avvio dell'anno scolastico (v. nota prot. n° 8578 del 23.9.2010).
A tale situazione d'incertezza, fonte di contrasti fra dirigenti e sindacati, ha dato ulteriore impulso un' interpretazione quanto meno affrettata e parziale del decreto Brunetta fornita dal dipartimento della Funzione Pubblica (v. circolare n°7 del 13.5.2010) in cui si sostiene che “in ogni caso, le norme che dispongono un termine finale per l’adeguamento (l'art. 65 n.d.r.) non valgono ovviamente a sanare le eventuali illegittimità contenute nei contratti integrativi vigenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2009 e maturate sulla base dei principi previgenti, ad esempio con riferimento all’erogazione della retribuzione di produttività in modo non selettivo o indifferenziato o sulla base di automatismi ovvero in relazione alla regolazione con il contratto integrativo di materie non espressamente devolute dal CCNL o, a maggior ragione, disciplinanti materie escluse dalla contrattazione collettiva o, ancora, alla violazione del vincolo di bilancio e delle regole di finanziamento dei fondi di amministrazione.”
Tale orientamento (espresso direttamente...dal Ministro Brunetta!) si basa sulla mera data di entrata in vigore del decreto, ossia il 15.11.09: i contratti stipulati prima di tale data resterebbero applicabili mentre quelli stipulati dopo lo sarebbero solo per le parti non riservate alla legge ordinaria, fermo restando che tutti i contratti devono essere adeguati entro il 31.12.10 pena la perdita di qualunque validità ed efficacia dal giorno successivo.
La ricostruzione appare poco sensata sia sul piano logico che giuridico. Anche distinguere fra contratti stipulati prima (che rimangono operativi in toto) e dopo l'entrata in vigore del decreto (inapplicabili per le parti ora riservate alla legge) non risulta corretto.
Ma soprattutto è il decreto stesso che pone un limite ben preciso alle parti contraenti per procedere all'adeguamento di tutti i contratti ancora vigenti, senza distinzione alcuna. L'art. 65 è assolutamente chiaro ed incontestabile sul punto. Tale norma porta quindi ad escludere qualunque ipotesi di retroattività del decreto Brunetta o di perdita di efficacia automatica delle parti relative a materie non più oggetto di contrattazione.
Ciò posto sarebbe quindi necessario che nelle singole amministrazioni entro fine 2010 venissero intraprese, ad iniziativa “della parte più diligente”, le trattative per giungere all'adeguamento dei contratti in corso e la parte più diligente dovrebbe essere ovviamente quella sindacale dal momento che l'inerzia avrebbe per l'amministrazione il gradito effetto di far scadere il termine per l'adeguamento, lasciando quindi mano libera all' Amministrazione, ora divenuta “privato datore di lavoro”, di procedere come meglio crede. Poiché quindi la norma impone un obbligo di attivazione, un facere, a carico delle parti contraenti, risulta indispensabile mettere in mora la parte inadempiente la quale, perseverando nell'inerzia o peggio nell'opposizione a trattare o ancora procedendo in modo unilaterale, certamente si renderebbe responsabile di condotta antisindacale.
Occorre però a questo punto tener conto dell'art. 9, comma 17, della c.d. “manovrina estiva” (L. n. 122/ 2010) che ha previsto il blocco triennale dei contratti. La norma infatti prevede che “ 17. Non si dà luogo, senza possibilità di recupero, alle procedure contrattuali e negoziali relative al triennio 2010-2012 del personale di cui all'articolo 2, comma 2 e articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni. È fatta salva l'erogazione dell'indennità di vacanza contrattuale nelle misure previste a decorrere dall'anno 2010 in applicazione dell'articolo 2, comma 35, della legge 22 dicembre 2008, n. 203”. In queste condizioni è quindi impossibile qualunque rinnovo o adeguamento e il procedimento delineato dal decreto Brunetta diviene di fatto inapplicabile.
Da ciò la necessità di capire come regolarsi dopo l'1.1.2011 ossia da quando i contratti integrativi vigenti non adeguati dovrebbero perdere efficacia.
La norma parla di “mancato adeguamento ai sensi del comma 1” ossia entro il 31.12.10 ad iniziativa di parte. Poiché invece il mancato adeguamento è ora determinato da una disposizione di legge emanata successivamente, deve ritenersi che anche tali contratti rimangano del tutto operativi (quando meno in base al principio dell'ultrattività degli effetti del contratto). In concreto il blocco triennale della contrattazione cristallizza la situazione di fatto esistente al 30.7.10 e fa sopravvivere quanto meno sino al 2012 tutti i contratti esistenti nell'attuale formulazione, anche con riferimento alle materie riservate dal decreto Brunetta alla legge. In concreto, per ragioni di risparmio di spesa lo Stato “privato datore di lavoro” deve ancora pazientare un po'.
Alessio Ariotto, Retelegale.net

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