venerdì 8 gennaio 2010
La crisi ha fatto aumentare i pignoramenti immobiliari. Non sempre però il danno lo subisce solo il pignorato ma, a quanto pare, anche chi ha avuto la sfortuna di stipulare un contratto di locazione con qualcuno che poi subisce il pignoramento.
Fermo restando che un contratto di locazione stipulato dopo il pignoramento non è opponibile al creditore procedente, anche un contratto stipulato prima della trascrizione del pignoramento non garantisce del tutto al conduttore la possibilità di vivere tranquillo nella sua abitazione.
Pacifico in giurisprudenza che il contratto di locazione in corso alla data del pignoramento mantenga validità sino alla scadenza, ma che non possa aversi tacita riconduzione (ossia rinnovo automatico in assenza di disdetta nei termini) ma solo l'autorizzazione del giudice dell'esecuzione a proseguire la locazione, parrebbe però ovvio prevedere che in assenza di autorizzazione il conduttore debba essere sfrattato secondo le regole ordinarie, onde non trovarsi in una situazione più svantaggiosa rispetto a quella del conduttore che ha stipulato con un locatore non vittima di pignoramento, situazione di cui il conduttore non è assolutamente responsabile.
Invece l'art. 586 c.p.c., al comma 2, stabilisce che il decreto di trasferimento del bene immobile pignorato è anche titolo esecutivo per il rilascio e quindi utilizzabile in danno del conduttore alla stregua di una convalida di sfratto.
In tale senso il Tribunale di Torino, con ordinanza 1.4.09 (R.G. nー3524/09,inedita).
Assolutamente non convincente appare l'argomentazione secondo cui in assenza di tacita riconduzione il decreto di trasferimento sarebbe utilizzabile quale titolo esecutivo anche in danno del conduttore di alloggio in forza di contratto stipulato (e registrato) anteriormente al pignoramento. Come detto il conduttore che abbia stipulato con un locatore poi vittima di pignoramento risulta infatti subordinato ad un procedimento di rilascio rispetto al quale non ha né possibilità di contraddire né tanto meno modo di far valere eventuali vizi del contratto o comunque questioni che possono il qualche modo influire sulla sua durata ed eventualmente postergare il termine di scadenza. Ciò pare integrare un'ipotesi di illegittimità costituzionale dell'art. 586 c.p.c., comma 2, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., questione sollevata nel citato procedimento e sbrigativamente risolta dal Tribunale attraverso un ultroneo riferimento all'art. 560 c.p.c., comma 2. Richiama il Tribunale la giurisprudenza della Cassazione (sez. IIIー, n. 26238/ 07 in Mass. Giust. Civ., 2007, 12) secondo cui “ ...la peculiare funzione del pignoramento nell'ambito del processo di esecuzione giustifica la particolarità della sua disciplina...”.
Pare invece poco corretto e contrario ad un'interpretazione costituzionalmente orientata (ormai sempre meno di moda!) far prevalere il diritto di credito sul ben più rilevante diritto alla casa.
Ma forse quello che vien fatto prevalere è il diritto di proprietà dell'aggiudicatario, il che è anche peggio...

Alessio Ariotto, Retelegale Torino

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